Cristobal Garcia Salmeron, Il buon pastore
Vangelo di riferimento: Giovanni 10,27-30
Felici nelle mani del pastore
La rappresentazione di Cristo come Pastore e dei Cristiani come gregge di pecore è assai diffusa in epoca paleocristiana. Lo testimoniano sin dal II secolo i rilievi dei sarcofagi e gli affreschi nelle catacombe romane e, poco dopo (256), quelli nel battistero della casa-chiesa di Dura Europos in Siria. Seguendo il Vangelo di Giovanni, essi riprendono cristianizzandola, la divinità greca di «Hermes Kryophoros» (Ermes portatore di ariete). Tale iconografia si estingue gradualmente fino al Medioevo, per riprendere soprattutto in Spagna grazie alla Controriforma.
È proprio dello spagnolo Cristobal Garcia Salmeron l’opera «Il buon pastore» realizzata ad olio su tela, per la Chiesa di S. Gennaro d’Arles a Madrid nel 1660 circa. La luce proveniente da sinistra fa risaltare nella parte centrale del quadro il chiaro del manoscritto che riporta in nero come su un cartiglio il passo giovanneo «Ego svm pas/tor bonvs et / cognosco oves / meas et cog/noscvnt me / meæ» (Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me). Nel linguaggio biblico il verbo conoscere esprime il dialogo dell’amore vero. Il sapersi conosciuti dal Signore cambia completamente il rapporto con il Cristo a tal punto che nel brano di Giovanni (10,27-30), Egli afferma, «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono». Ai tempi di Gesù i pastori ogni sera accompagnavano le proprie pecore all’ovile – un recinto fatto con sassi a secco e una porta – per poi vigilare, allontanando lupi e ladri. Di mattino il pastore – e qui si comprende meglio la frase di Gesù – chiamava le proprie pecore per nome ed esse, conoscendone la voce, lo seguivano. Un po’ come si fa con cani e gatti e come i contadini fanno con le mucche.
Dalla stessa fonte luminosa sono pure evidenziati sia l’agnello dalla pelle studiata al naturale sia il capo del Cristo che mostra un volto giovane di Figlio rivolto al Padre, verso l’alto: «Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre». L’artista presenta il Nazareno con una figura nobile e cordiale, emergente dal fondo nero in forma quasi tridimensionale grazie ai movimenti della luce sulle pieghe della tunica rosa scuro e del mantello blu-grigio. Il Pastore garantisce: «Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano».
Charles de Foucauld – domenica prossima 15 maggio sarà proclamato santo – commentando il Salmo 23 («Il Signore è il mio pastore…»), confessava: «Quanto siamo felici di essere nelle mani di un tal pastore! Egli cerca il nostro vero bene e ci sa dare ad ogni ora l’alimento necessario».
don Tarcisio Tironi
direttore M.A.C.S.